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Tra mente e corpo: la complessità dei percorsi di PMA (Procreazione medicalmente assistita).

L’ intervento dello psicologo  in affiancamento alle figure sanitarie: ginecologi, infermieri e biologi.

“Prima di conoscere la malattia bisogna conoscere la persona che la porta” Ippocrate.

Dal consiglio ippocratico nasce il presente lavoro volto ad avvicinare mente e corpo in un contesto complesso, quello dei percorsi di procreazione assistita, all’interno del reparto di Ginecologia ed Ostetricia dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania (SA). Nell’ iter biologico/medico della PMA

accanto ad un corpo che fa i conti con l’infertilità e che chiede degli interventi pratici e mirati, c’è  un mente che fa i conti con un tessuto emotivo variegato fatto di impotenza, frustrazione, delusione, vergogna, ma anche di desiderio, illusione e onnipotenza.  Il vissuto delle donne e delle coppie, come descritto da M. Vigneri, è generalmente di ” depressione, senso di colpa, rabbia, isolamento, perdita del senso filogenetico dell’accoppiamento e della propria identità di genere, senso di fallimento individuale e sociale, relazione di invidia ed umiliazione verso il contesto sociale, verso le altre donne e le altre coppie” ( M. Vigneri Madri quasi vere, p. 153). L’esperienza  emotiva delle  coppie spesso finisce, in ambito ospedaliero, per essere taciuta, tralasciata o più spesso riversata sul personale medico-infermieristico traducendosi in incomprensioni, difficoltà  ad intraprendere o proseguire le indicazioni alla PMA.

Il rapporto con l’équipe medica nella PMA,  si fa spesso carico del “ crollo decisivo delle aspettative iniziali fideistiche e totalitarie delle pazienti, con il viraggio dall’idealizzazione al risentimento, per quanto sia sottaciuto e resti sottomesso al ricatto della speranza”( M. Vigneri, in op. Cit. ). Poter osservare e registrare il clima sopra descritto ha rappresentato il primo passo in un lavoro, quello dello psicologo volto a comprendere un sintomo, l’infertilità  e/o sterilità e ad affrontarlo riconoscendo alle donne e alle coppie attrici la propria individualità e peculiarità psichica in un contesto, quello medico, fatto di percentuali di successo ed insuccesso, protocolli, indagini diagnostiche e prassi mediche piuttosto standardizzate in cui troppo spesso la persona lascia il posto al paziente.

Obiettivi

Definire gli obiettivi, le modalità e gli interventi del percorso psicologico è stato possibile ed è tutt’ora in corso, grazie all’ascolto da parte dello psicologo dell’intera équipe, durante i diversi momenti delle giornate lavorative e in modo più articolato in un seminario formativo a cadenza annuale, in cui per la prima volta, lo psicologo ha preso parte coinvolgendo ed attivando l’équipe e raccogliendo le osservazioni di tutti quegli aspetti non medici,ma ugualmente specifici e personali delle differenti coppie, e tali da non poter più  essere trascurati, riconoscendo loro un peso nel percorso di PM A, quello della mente, pari a quello del corpo e abilmente ad esso intricato. La finalità dell’esperienza dello psicologo presentata è andata modificandosi nel corso dell’esperienza stessa: dal desiderio di approfondire in una modalità peraltro volontaria, un settore più che mai attuale, quello delle nuove forme della genitorialità in un contesto, quello ospedaliero- pubblico che accoglie un numero notevole di coppie , ad un vero e proprio impegno lavorativo e soprattutto di ricerca, volto principalmente a “sostenere” le coppie nel percorso della pma offrendo uno spazio di ascolto. In questo spazio spesso l’attenzione clinica dello psicologo ha individuato dinamiche personali, familiari o di coppia tali da poter rappresentare delle concause psichiche alla infertilità organica diagnosticata o meno. In tali circostanze, lungi dall’attribuire allo psicologo e al percorso psicologico le stesse attese magiche di successo riversate sull’équipe medica, resta fondamentale, come obiettivo aggiunto, riuscire anche solo ad aprire una riflessione sul peso che la mente possa avere sul corpo: ciò significa potersi immaginare come ulteriore obiettivo del percorso psicologico, non una semplice consultazione quanto una presa in carico più vicina ad un percorso terapeutico, da consigliare nei casi più problematici, su richiesta, soprattutto in seguito a ripetuti fallimenti della PMA.

Metodi e strumenti

Nel corso del tempo è stato possibile articolare l’intervento psicologico individuando tre momenti di ascolto:accoglienza e raccolta anamnestica, accompagnamento alla pma,evoluzioni ed esito.

Il primo colloquio, generalmente dedicato alla coppia coincide con la fase di diagnosi/programmazione del protocollo medico: è volto a contenere i vissuti emotivi attraverso la narrazione della storia coniugale e genitoriale affrontando nel contempo il tema dell’infertilità.  A tal proposito il colloquio prevede anche la somministrazione del questionario Fertility Problem Inventory al fine di sollecitare la coppia a riflettere ed elaborare il proprio vissuto individuale dell’infertilità, affrontando quattro aree tematiche ad esso connesse: sociale, sessuale, relazionale/coniugale, genitoriale. Dal primo contatto con le coppie generalmente si costruisce un clima di sostegno che permane nel secondo accesso. Quest’ultimo avviene solitamente durante la fase dei monitoraggi ovarici delle donne , in un momento dell’iter medico in cui la coppia è già a conoscenza, avendo concluso l’iter diagnostico e di programmazione, della tecnica specifica di pma e consapevole delle maggiori o minori responsabilità dell’uno o altro partner alla condizione di infertilità. Il secondo momento di ascolto è quindi volto ad elaborare fantasmi e timori connessi alla tecniche riproduttive avviando e/o  e sostenendo nel contempo un duro lavoro, quello di elaborazone del “lutto procreativo” inteso come impossibilità a procreare naturalmente: le reazioni possono essere molteplici e spesso variano all’ interno della coppia. Difficilmente i membri della coppia fanno una richiesta di PMA mossi dagli stessi desideri, dalle stesse aspettative poichè i tempi di elaborazione del lutto procreativo sono personali e difficilmente coincidenti. Se tutto si è svolto senza grosse problematiche nell’iter medico,  Il momento finale del percorso, il terzo colloquio, coincide con la fase cruciale della PMA: il momento in cui la coppia lascia l’ospedale, nei casi più semplici, per avviarsi ad una lunga attesa, 15 giorni, precedenti la notizia di un successo o insuccesso della pma. Più spesso i tempi della pma si dilatano per via di complicazioni fisiche quali  ad esempio la condizione di iperstimolazione ovarica conseguente al trattamento ormonale effettuato. In casi più complessi o anche nei più semplici in cui se ne presentano le condizioni, lo spazio di ascolto diviene il luogo in cui poter “immaginarsi genitori”, elaborare ulteriormente il proprio lutto procreativo e contemplare altre possibilità : accettazione di una creatività interna alla coppia che non passi necessariamente dalla generatività, adozione.

Risultati e Conclusioni

Difficile  poter tirare le somme di un lavoro così complesso. Quanto segue è una rilessione generale frutto dell’esperienza empirica e tale da essere modificata in base al lavoro che verrà.

Se consideriamo l’infertilità il sintomo delle coppie che accedono alla PMA dobbiamo guardare il corpo, degli uomini e delle donne come il veicolo non solo di elementi organici tali da spiegare la condizione stessa di infertilità,  ma più spesso come “scenario che la mente sceglie per le sue rappresentazioni” ( Nunziante Cesaro, 2002): uno scenario non tanto diverso da altre manifestazioni sintomatiche in cui il “corpo”è chiamato pienamente in causa quali i Disturbi Alimentari (DA) o anche alcuni Disturbi d’ansia, parlando per il soggetto.  In tal senso l’infertilità  sarebbe da ricondurre ad una difficoltà  a simbolizzare ovvero a elaborare l’impatto di certi vissuti conflittuali, vissuti spesso connessi alla maternità e paternità, fantasticate o meno, vissute o meno in qualità  di figli prima ancora che genitori. Poter lavorare con le coppie considerando tutti gli elementi sopra esposti richiede una buona collaborazione con l’équipe medica: molto ancora può esser fatto per migliorare un ascolto reciproco tra i membri del gruppo di lavoro in cui lo psicologo inizia ad affacciarsi portando una riflessione che può ancora stupire ma che  può essere considerata alla pari di tutti gli altri indicatori diagnostici in tema di infertilità: “Per nascere madre non basta mettere al mondo un figlio, è necessario che si metta in moto tutta una serie di processi. Una madre deve poter vivere la propria condizione con un senso di sicurezza e di fiducia, sentirsi parte di una storia familiare positiva, aver concepito il bambino in un  contesto di attesa affettiva, in una speranza di progetto parentali. Il bambino può nascere alla vita solo se è portato dalla vita, che si manifesta nel pensiero di sua madre.”. Troppo spesso tali condizioni risultano assenti o carenti nelle coppie che richiedono una PMA. Il pensiero, strumento privilegiato dello psicologo resta Il mezzo più efficace per affrontare la questione con le coppie e con i tanti personaggi della PMA coinvolti.

Antonella Guariglia